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LA GRANDE PAUSA

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In questo periodo storico di spavento e cambiamento, la pausa è un momento che va vissuto, analizzato e condiviso.

  • Immagine del redattoresdm

La mia vita con Te senza di Te


Carissimo Bruno,

il 31 gennaio 2020 ha celebrato il 40° anno da quando ci siamo incontrati per la prima volta.

Io ero una giovane donna di 26 anni e stavo iniziando una nuova avventura che avrebbe portato un grande cambiamento nella mia vita; il secondo. Il primo era avvenuto a 18 anni quando, con il mio compagno di allora, scoprimmo di attendere un bambino. Decidemmo subito di tenerlo e sposarci, io venivo da una famiglia super cattolica, lui orfano di entrambi i genitori, morti quando era ancora piccolo. Nacque nostra figlia e trascorremmo alcuni anni insieme, felici ma anche tanto difficili. La separazione fu inevitabile ma di grande crescita per entrambi. Ero disoccupata e dopo una serie di lavoretti decisi di iscrivermi al corso per diventare infermiera, avevo iniziato lo stesso da pochi mesi ed ero soddisfatta della mia scelta perché quel mondo mi piaceva davvero e da li a tre anni avrei trovato un lavoro stabile, soddisfacente e socialmente utile.

Tu invece eri un uomo di 34 anni, già super navigato, con un lavoro sicuro, anche tu infermiere. Che strani giri fa il destino per creare dei legami! Avevi due storie importanti alle spalle, tante storie di qualche mese o di una notte e tre figli. Chi avrebbe mai detto che tu saresti stato l’artefice del terzo grande cambiamento. Di li a pochissimo mi sarei ritrovata una donna innamoratissima che a ripensarci mi sento ancora volare le farfalle nello stomaco. Inseparabili o quasi per sette meravigliosi anni scordandoci talvolta del mondo esterno: viaggi, amore, studio, amore, amici, amore, pranzi e cene, amore, convivenza,amore,lavoro, amore e ancora amore….. Certo io non potevo venire meno ai miei impegni di madre e tu a quelli di padre ma cercammo in tutti i modi di far incontrare i nostri figli e farli convivere con noi, non sempre facile, in armonia.

Il sogno si interruppe con un evento di una drammaticità lacerante: la morte durante il parto di nostra figlia Irene. La figlia da me sognata con i tuoi occhi verdi, il tuo naso dritto, la mia bocca piccola sempre incline al sorriso, ma carnosa come la tua sempre pronta a dare e ricevere baci, le tue mani che sapevano accarezzare e curare in modo delicato e gentile. Quello che era certo non doveva avere i tuoi zigomi alti e sporgenti caratteristici tuoi, geneticamente ereditati dai tuoi tre figli. Quella mattina del 22 giugno 1987 si ruppe l’incanto, la magia, il filo del nostro amore. Così siamo andati avanti per un anno e mezzo, le tue continue fughe, un’altra donna nella tua vita, il mio dolore dilaniante per la perdita di una figlia e il mio convincimento che l’altra figlia, che mi accorsi dopo 4 mesi di portare in grembo fosse la stessa che era tornata, una follia. Neanche la nascita di Ambra, salutata con immensa gioia e anche liberazione da un incubo ci fece tornare indietro come prima. Non mi arresi, come non mi arrendo ora, e feci di tutto per tornare insieme, tu nel frattempo te ne eri andato a vivere con la tua nuova fiamma, quanto l’ho odiata. Non sono riuscita ad odiarti come non ti odio ora perché ho pensato allora che ti avesse rapito la paura di sentire troppo dolore per la perdita. Ora penso che ti abbia rapito la malattia che cerca di strapparti da me. Allora, quando eravamo a letto, per paura che il sonno prendesse il posto della veglia vigile, legavo la mia camicia da notte alla tua maglietta per svegliarmi se tu ti fossi svegliato e scappato. Ora non faccio altro che osservare ogni azione della tua giornata, anche quando dormi per non perdermi nulla di te e per contrastare i piccoli e grandi cambiamenti che dall’inizio di questa malattia ti portano via da me, da noi da questo nostro stare insieme.

Non mi pesa certamente doverti spogliare, vestire, lavare, pulirti quando ti sporchi, darti da mangiare. Però, non solo tu non hai una parola un gesto per ringraziarmi ma dai segni di insofferenza e cerchi in tutti i modi di opporti. No non sei violento, non lo sei mai stato, ma talvolta metti una gran forza per allontanare le mie mani che vorrebbero in continuazione accarezzarti anziché farti quelle piccole grandi violenze che sono necessarie. Le violenze sono violazioni della tua volontà del tuo libero arbitrio che Lei, la malattia ti ha rubato. Quando, sempre più di rado, le tue labbra accennano un bacio o un sorriso rivolto a me il mio amore diventa tenerezza infinita. Mi manchi, mi manca avere un dialogo fatto di parole di sguardi d’intesa, le discussioni politiche, ma anche che cosa vuoi mangiare oggi, guarda che bel tramonto, ti ricordi qui ci siamo stati insieme. Quando passeggiamo il silenzio ci accompagna oppure tu parlotti in continuazione e spesso si capisce che sei irritato perché ti mancano le tue passeggiate solitarie senza una meta precisa, quando ti fermavi a chiacchierare con tutti ma non avevi un vero amico. Sei sempre stato un lupo solitario in fuga da cosa? Da chi? Forse da te stesso dalle tue paure, dalle costrizioni che non hai mai accettato ma talvolta hai imposto agli altri. Io sono stata sempre qui ad aspettarti, certamente non in silenzio ma sicuramente armata di una grande pazienza. Non hai mai fatto nulla imposto da altri ma sicuramente hai sempre desiderato legami anche quelli che a parole rifuggivi. Delle volte mi chiedo e se non fosse sopraggiunta Lei ora staresti ancora insieme a me? E me lo chiedo stizzita quando ti voglio far fare qualcosa, che da me rifiuti e da estranei accetti volentieri. Cerco un significato nei tuoi gesti ripetitivi e una logica che noi sani non riusciamo ad accettare.

Non avevo paura di invecchiare anzi aspettavo quell’età della vita che ci avrebbe ritrovato uno a fianco all’altro magari godendoci un bel tramonto a raccontarci tutti quei segreti che non ci eravamo mai detti. Finalmente mi avresti detto che cosa ci avevi trovato in quella donna che avevi incontrato nel periodo più buio della nostra vita insieme, mi avresti finalmente detto dove andavi quando sparivi per ore con la scusa di andare a trovare la Pupa (tua mamma). Mi avresti finalmente spiegato le vere ragioni per cui hai acquistato quella piccola casa a Poli senza dirmi nulla e invece ti sei completamente disinteressato alla ristrutturazione della nostra casa. Perché hai voluto fare dei viaggi da solo, perche ti sei chiuso, almeno con me, ad una castità a cui ogni volta che te ne ho chiesto la ragione hai risposto con una scusa diversa. Perché non hai voluto affrontare con me le problematiche legate alla difficile adolescenza di nostra figlia. Finalmente avresti condiviso con me i tuoi segreti e bugie anzi le cose non dette come le chiamavi tu. Avremmo condiviso anche i ricordi delle nostre belle vacanze in camper, i viaggi, le vacanze sulla neve, il nostro matrimonio così tardivo che ho tanto anelato che tu finalmente mi hai concesso e proposto, la bella festa con gli amici e parenti più cari, il bel viaggio in Egitto, la complicità amorosa, la gioia della nascita dei nipoti, le feste di famiglia, i lutti di famiglia. Si siamo stati nonostante le tue intemperanze e le mie incazzature una gran bella famiglia allargata. Mi si riempie il petto di gioia quando penso al bello e al brutto della nostra lunga vita insieme.

Ed invece tu non sei invecchiato sei ritornato bambino non hai più memoria né di te né di me. Tutto cancellato da un implacabile colpo di spugna? No, coperto da una vernice molto spessa che non si diluisce con nulla, ma li sotto le emozioni e i sentimenti che se pur disordinati rimangono e neanche la violenza della malattia può distruggere. Meno male che ho sempre tenacemente voluto mantenere la mia autonomia economica, intellettuale, lavorativa. Ho sempre tenuto molto alle mie scelte a non rimanere ferma, ho sempre avuto i miei beni rifugio: i libri, la cura degli animali che in parte abbiamo anche condiviso, le mie piante, le mie uscite con gli amici, i corsi…… insomma ora sono sola ma non in solitudine.

Cerco di vivere l’oggi e di mantenere la tua presenza e quel po’, di autonomia di cui sei ancora capace: mangiare da solo, camminare, saper trattenere, non sempre, la pipì, aprire la scatola dei biscotti, muoverti al ritmo della musica che ti piace. Poche cose che per me hanno ancora un grande significato. Cerco di mantenere la dignità di persona vestendoti come ti è sempre piaciuto, limitando allo stretto indispensabile l’uso del pannolino, portandoti dal barbiere, rispettando le tue preferenze alimentari, facendoti fare trattamenti osteopatici, trattamenti di riflessologia plantare, attività riabilitative, limitando l’uso dei farmaci allo stretto indispensabile.

Amore mio mi dispiace molto e ti chiedo scusa per questo, di dover fare ogni giorno delle scelte e prendere delle decisioni per te che forse non avresti condiviso. Qualche volta penso con terrore a quando arriverà il momento della totale perdita di autonomia, a quando ti dovrò lasciare andare, sarò molto triste per la tua assenza totale ma sarò felice nel pensarti finalmente di nuovo libero.

È questa oggi la mia vita con te senza di te, per sempre tua, Luciana

Roma ,2 maggio 2020



Immagine "Donna con margherita" di Mario Lupo

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